Perché sviluppare il linguaggio visivo. Appunti per un percorso grafico e fotografico

Linguaggio visivo. Rudolf Arnheim alcuni anni fa denunciava espressamente l’abbandono della pratica e dello studio delle arti come causa di involuzione delle capacità di comprensione della realtà e invitava a riprendere la pratica artistica.

Ciascun individuo percepisce il mondo come un “bombardamento di oggetti e persone”. Elabora le informazioni grezze che provengono dall’ambiente circostante e le organizza all’interno di un’unica rappresentazione (c.d. soluzione di problema “many to one”) che gli consente di affrontare i problemi, orientarsi, pianificare (1).

fantasmi

“Ogni autentica conoscenza implica una percezione che possiamo definire gestaltica ossia strutturata, autonomamente configurata. La percezione è infatti provvista di una caratteristica globalità strutturale, costituita da degli insiemi percettivi già in certo senso precostituiti e organizzati in maniera significante.” (2)

Per fare questo l’individuo utilizza le cinque funzioni della percezione: attenzione (per determinare a quali stimoli prestare, appunto, attenzione), localizzazione (il “dove” sono gli oggetti), riconoscimento (la risposta alla domanda: “di quali oggetti si tratta?”), astrazione (trarre le informazioni critiche relative agli oggetti), costanza (conservare lo stesso aspetto degli oggetti anche se l’immagine impressa sulla retina muta).
Tali percezioni sono colte mediante l’interazione tra i due emisferi del cervello che hanno funzioni differenziate: quello sinistro dedicato alle funzioni verbali e analitiche e l’emisfero destro, destinato al “visivo” e al “percettivo”.

Secondo gli studi applicati di Betty Edwards, utilizzare la parte destra del cervello ci consente di stimolare la nostra capacità percettiva, passando dalla percezione dei contorni a spazi, rapporti, luci ed ombre, fino a raggiungere la percezione del tutto.
Utilizzare la parte destra del cervello ci consente di superare gli schemi consolidati e guardare il tutto, utilizzando anche chiavi di lettura in un certo senso connesse all’ “interiorità”; in ultima istanza significa guardare con la parte più libera e profonda di sé.

Profondo

Cogliere il concetto di profondità e maneggiarlo rappresenta ad esempio per un individuo la forma più elementare di organizzazione dell’immagine perché consente di cogliere ciò che è in figura e ciò che è sullo sfondo, con evidenti implicazioni di valore della rappresentazione.

Profondità

Se tali rappresentazioni vengono poi poste all’interno di un pattern visivo per la realizzazione di un’opera grafica o fotografica, è possibile osservare che “costruiamo immagini nel modo in cui siamo abituati a guardare la realtà e sui parametri di spazio e di tempo luce” (4): profondità, colori, forme, linee.

Afferma Rosa Maria Puglisi: “E’ attraverso il disvelamento di tali filtri che possiamo entrare in contatto con ciò che essi implicano: i nostri intimi valori, come il nostro sistema di credenze. E il loro manifestarsi ed esser compresi è il primo concreto passo sia che si operi con un intento psicoterapeutico, sia che si ricerchi semplicemente il cambiamento e la crescita personale.” (5)

Tramite l’immagine si può dunque evocare il sottotesto emotivo dal quale può emergere la narrazione di un individuo.

Linguaggio grafico e fotografico

È un obiettivo che consente il pieno sviluppo della persona umana, adulto o bambino che sia, in quanto la “narrazione oltre ad essere un essenziale strumento relazionale rappresenta anche la via attraverso cui dare forma alla propria identità”. (6)
Rudolf Arnheim alcuni anni fa denunciava espressamente l’abbandono della pratica e dello studio delle arti come causa di involuzione delle capacità di comprensione della realtà e invitava a riprendere la pratica artistica, trascurata dai programmi di studio e formazione ( n.d.r.) con parole chiare:

La capacità innata di comprendere attraverso gli occhi si è assopita e deve essere risvegliata; e ciò può essere fatto nel modo migliore maneggiando il pennello e la matita o lo scalpello e forse la macchina da presa.” (7)

Nella stessa opera Arnheim richiama anche l’importanza della “verbalizzazione” delle opere che secondo un “pregiudizio“ si ritiene che “possa paralizzare la creazione e la comprensione intuitive”. La verbalizzazione consente, invece, di integrare la percezione emotiva con gli aspetti cognitivi, interiorizzando quindi su più livelli l’esperienza artistica e di vita.

Sostiene Arnheim che “il delicato equilibrio di tutte le nostre facoltà – che unico ci premette di vivere in maniera piena e di lavorare bene- viene turbato non solo quando l’intelletto interferisce con l’intuizione ma anche quando il sentimento sfratta il ragionamento. Se un’incessante autoanalisi sarà dannosa, altrettanto lo sarà il primitivismo artificioso dell’uomo che rifiuta di sapere come e perché agisce. L’uomo moderno, invece, deve, e perciò può, vivere dotato di una autocoscienza senza precedenti.”
E’ su questo invito che si fonda l’idea di avviare con adulti e bambini un percorso di riscoperta delle capacità visive finalizzate ad una più profonda consapevolezza di sé, e del proprio bagaglio emotivo, con l’obiettivo non secondario di migliorare l’insieme delle relazioni umane che compongono la nostra vita.

 

NOTE
(1) In questi termini si esprime la maggioranza degli studiosi che partendo dalla teoria della visione ecologica di J.J.Gibson secondo cui la rappresentazione bidimensionale sulla nostra retina rappresenti tutto ciò che ci serve per vivere, ne hanno superato i limiti affermando la necessità dell’uomo di aggiornare continuamente i dati provenienti dal mondo al nostro cervello, tramite il c.d. modello dell’ambiente, secondo cui un individuo analizza la percezione delle immagini grezze e, al fine di renderle un’unica rappresentazione pregna di significato, le confronta con le “assunzioni” relative a come è assemblato il mondo, che poi restituisce alla visione sensoriale per integrarla. ATKINSON & HILDGARDS INTRODUZIONE ALLA PSICOLOGIA CAP 5, pag. 152;
(2) Gillo Dorfles in Prefazione “Arte e percezione visiva” di Rudolf Arnheim;
(3) “Il nuovo Disegnare con la parte destra del cervello”, Betty Edwards, Longanesi, 2002;
(4) Piccini F., “Riflessioni sul concetto di spazio e tempo nella creazione di immagini della
realtà e di se stessi” in Nuove Arti Terapie n.15, Roma, 2011, pp. 4-5;
(5) “La fotografia come strumento per imparare a guardare e per narrarsi”, Rosa Maria Puglisi; https://specchioincerto.files.wordpress.com/2014/02/4-la-fotografia-come-strumento-per-narrarsi1.pdf
(6) Rossi O., “Lo sguardo e l’azione”, Edizioni universitarie Romane, Roma, 2009, p. 47
(7) Rudolf Arnheim in “Arte e percezione visiva”, Feltrinelli 2002, p.23 e ss.

Foto dell’autore, Fabio Campanile, per gentile concessione.