L’esperienza di Cézanne, Nof4 e Pino Pascali nella natura.

L’esperienza di Cézanne, Nof4 e Pino Pascali nella natura. Fonti di ispirazione del processo creativo dei laboratori di Muse Artiterapie.

All’origine della ricerca creativa e arterapeutica di Muse c’è stato l’interesse ed il conseguente studio – che ovviamente non si pone come esaustivo della tematica – di tre autori, Paul Cézanne, Nof 4 e Pino Pascali, che anche per ragioni geografiche hanno avuto delle risonanze nella nostra esperienza.

Attraverso la loro attività, infatti, questi artisti hanno saputo cogliere “l’invisibile” nell’ambiente circostante: la natura aperta per Cézanne, la natura primitiva per Pascali, lo spazio siderale per Nof4.

Cézanne dalla visione dall’alto del paesaggio e della natura, ha tratto spunti per un’esplorazione interiore attraverso la pittura. Nof4, che nella segregazione dell’ospedale psichiatrico, ha compiuto tramite l’espressione creativa un percorso tutto interiore di conoscenza e di affermazione del sé. Infine l’esperienza di Pino Pascali, pugliese a Roma, che integra le due culture, quella contadina e quella industriale, attraverso l’utilizzo di materiali industriali, propri del progresso, nella ricostruzione di archetipi, propri del senso di appartenenza ad una cultura collettiva.

Paul Cézanne ha dedicato decine di dipinti dal vero, testimonianze di un nuovo sguardo che l’artista getta sulla natura quando afferma: “Il colore è biologico, è vivente, è il solo a far viventi le cose” (1).

La pittura naturalista per Cézanne è una “necessità spirituale” (2) coniugata alla dimensione del passeggiare a piedi nella natura stessa, perché, diceva: “Per dipingere bene un paesaggio devo scoprire prima le sue caratteristiche geologiche” (3).

Così dall’esperienza fisica, dal camminare nella natura, la dissolvenza della forma diventa la sua visione della natura per cogliere qualcosa di più profondo tramite le emozioni: “Tutto quello che vediamo, non è vero?, si dilegua. La natura è sempre la stessa, ma nulla resta di essa, di ciò che appare.” (4). Uno sguardo artistico che ci siamo permessi di denominare “immersione esterna” nell’esplorazione di Sé, uno sguardo, per così dire, dall’alto.

Nof4 invece, ospite al padiglione 4 dell’ex Ospedale psichiatrico di Volterra, ha realizzato un murale di graffiti realizzato sulle pareti antistanti il giardino. Un’opera di Art Brut, frutto di un processo artistico che, come si dirà meglio oltre, sembra il tentativo di salvaguardare il proprio Sé dall’esperienza di internato.
Scrive Nof4 sul muro, tra l’altro: “io sono un astronautico ingegnere minerario nel sistema mentale” e “amo il mio essere materiale come me stesso.” (5). Uno sguardo artistico che abbiamo denominato “immersione interna” nell’esplorazione di Sé, uno sguardo, per così dire, da dentro.

Seguendo le nostre intuizioni abbiamo infine scelto di analizzare anche l’esperienza artistica di Pino Pascali, che sceglie la natura primitiva per diventare egli stesso parte della sua opera, compiendo un importante lavoro di introspezione: “Questo ritorno allo stato di natura non è la cifra usuale di un linguaggio alla moda. E’ il mezzo di cui l’artista si impadronisce con disinvoltura per significare se stesso” (6). Pascali sembra condurci all’autenticità mettendo il gioco alla base del piano dell’opera, che nel suo caso spesso è rappresentata da lui stesso.

In comune tra di loro e ai fini di questo nostro cammino, Cézanne, Nof4 e Pascali ci trasmettono l’autenticità del vissuto, dell’opera d’arte, dell’emozione, del “ludus”, e soprattutto la funzione di rispecchiamento dell’uomo nella natura: il processo che consente di contattare quella che Nato Frascà, per noi altro punto di riferimento artistico di cui parleremo più avanti, chiama “la radura sacra dell’essere” (7).

La natura, quindi, anche sulla base delle esperienze di queste artisti ci è apparsa come un habitat speciale per esplorare le emozioni, per ospitare laboratori di espressione creativa, per “enfatizzare i risultati” dell’arteterapia (8).

Contemplazione dell’alto per ritrovare se stessi. Orizzonte: l’approccio spirituale. L’opera artistica di Cézanne.

Fa notare Nato Frascà, che l’espressione artistica è frutto di emozioni che derivano da conscio ed inconscio, che devono essere resi noti all’individuo al fine di compiere il proprio processo di individuazione terapeutico: “solo attivandoci creativamente possiamo arrivare a capire, almeno intuitivamente e sempre più consapevolmente, ogni grado del nostro processo evolutivo di individuazione. (…) “Questa può essere la funzione dell’Arte oggi.”(9)

Questo approccio si ritrova appunto in Paul Cézanne, come nota lo stesso Frascà, che coglie come obiettivo della sua pittura “integrare visibile con invisibile, il profano con il sacro.” (10)

Per Cézanne “non si può pensare la realtà se non in quanto è recepita da una coscienza e non si può pensare la coscienza se non in quanto recepita dalla realtà”. Per questo Cézanne parte dalla “Petite sensation”, la sensazione visiva. La sua ricerca è “tenere viva la sensazione” nel corso di “un processo analitico di ricerca strutturale che è un processo del pensiero.” (11)

Cézanne sembra far emergere la chiarezza dell’immagine senza definire il contorno, ma con la scioltezza del colore. Un’attenzione alla massa, che nella sua pittura più matura diventa dissolvimento, integrando la realtà concreta alla sensazione tramite pennellate che definiscono uno spazio temporale ritmico e profondo. Cézanne in questo modo sembra poter ristabilire l’equilibrio tra realtà e coscienza e perciò segna una dimensione di “ordine e riposo.” (12)

Evidenzia al riguardo Gombrich che tale situazione di unità che genera riposo e ordine, si coglie ad esempio nella “montagna Sainte- Victoire” laddove ad esempio “le nuvole sono verdi e il prato è grigio”. In questo senso Cézanne crea “l’impressionismo integrale”, “una nuova struttura di pensiero, in cui il ruolo dell’artista è costruirsi la coscienza attraverso l’esperienza viva della realtà, un nuovo e non più contraddittorio, non più angosciato rapporto dell’uomo col mondo, e in particolare con il nascente mondo originato dalla rivoluzione industriale.” (13)

Secondo Frascà, in particolare, il “dissolvimento” dell’immagine colta nella natura, operato da Cézanne nella fase della sua pittura matura, gli ha consentito di disvelare “l’implicito nascosto” nel motif, cioè la passione per il soggetto, che definisce emotif. (14)

L’ emotif determina il superamento della visione della natura in quanto tale, che esprime pertanto qualcos’altro (15). Una contemplazione della natura che, dunque, gli consente di raggiungere l’autenticità.
L’artista, l’uomo, dice, infatti, Frascà, aspira al “vado-verso-dove-vengo” che sintetizza il cammino di “ritorno all’indentro”, al mondo inconscio, alla placenta, tramite l’energia creativa, che abbiamo tutti, “perché partecipiamo a monte della creatività creaturale del grembo materno.”

Per fare ciò l’artista deve superare il narcisismo e l’individualità entrando così nell’inconscio collettivo, ossia secondo C.G. Jung le rappresentazioni primordiali (gli archetipi, espressi sotto forma di sogni ed immaginazione attiva) che costituiscono un patrimonio ereditario, sedimentato nell’inconscio, e dunque collettivo di cui ciascuno è portatore e che devono essere indagate per la conoscenza del Sé (16).

Sostiene Frascà – “l’artista aiuta gli individui ad attivare in sé stessi lo stupore di fronte al mondo”. Realizzare sé stessi come provenienti dall’utero, ossia dallo “scrigno degli affetti”.

Si tratta di raggiungere “la consapevolizzazione che consente di superare la nostalgia dello stato simbiotico uterino con la madre e trasformarlo in un realizzazione simbolica”. Si tratta, dunque, anche di una rinascita in questo senso spirituale. Ma analogo compito è affidato a ciascuna persona: praticare l’arte per cogliere questi aspetti profondi.

Del resto “ritornare all’inconscio collettivo e alla dinamica dell’energia, consente agli artisti di superare il manierismo e la mera copia della natura, che sono espressione della perdita di autenticità.” (17)

Oltre il visibile: la visione interna. L’Esperienza di Nof4.

Nof4, pseudonimo di Nannetti Oreste Fernando, orfano, visse per la maggior parte della sua vita nell’ospedale psichiatrico di Volterra, dove compose sulle mura esterne dell’ospedale un graffito. Oggi la sua opera è considerata espressione dell’Art Brut e dell’arte povera che, secondo G. Celant in “Conceptual Art, Arte Povera, Land Art” del 1970, si manifesta essenzialmente “nel ridurre ai minimi termini, nell’impoverire i segni, per ridurli ai loro archetipi“. (18)

Nof4, fa sopravvivere il suo sé più profondo, tramite il graffito, che è allo stesso tempo espressione del “gesto” che ne è all’origine e “materiale povero”. Con il suo “libro-pietra” (come amava definirlo), scrive il diario di viaggio “verso lontanissimi pianeti, che conosce in qualità di “colonnello astrale, ingegnere astronautico minerario, scassinatore nucleare”, così sfuggendo al terrore della seconda guerra mondiale”. Il suo racconto è perciò definito come un flusso di incoscienza, che assume quasi una sua autonomia. “In particolare, nelle rare occasioni in cui parlava del suo lavoro, Nannetti vi si riferiva come “Altro da Sé.” (19)

Nof4 sembrerebbe, pertanto, aver ri-creato, tramite l’arte, un nuovo spazio, una sua cosmogonia (e quindi una natura), in quella che definisce la “sua Itaca”. Un insight, un’illuminazione (20), frutto della sua visione interna, che traccia un nuovo ambiente costituito di archetipi e simboli, tramite i quali getta ponti verso l’esterno. Ponti che ci sembra possano essere anche percorsi dagli osservatori della sua opera.

Il gioco come fonte naturale di crescita e di autenticità. Il Piano dell’opera di me stesso. Pino Pascali.

L’artista può diventare parte dell’opera stessa, ponendosi al centro del processo, e dialogando con la natura. L’artista si muove e agisce all’interno di uno spazio ludico, idoneo ad aprire il proprio “scrigno dei sentimenti” (così lo definisce Frascà), in cui una relazione autentica ed empatica con la natura, può agevolare l’esplorazione. Autenticità che si esprime nella dimensione principe e primitiva del gioco, che consente all’artista di varcare la soglia del pattern compositivo e diventare opera egli stesso.
Espressione di questa impostazione è certamente Pino Pascali.
Ci ricorda al riguardo Maurizio Calvesi: “Egli “agiva” le sculture, s’inventava attore delle proprie immagini… Una partecip-azione che Pascali ha attivato in varie opere-performance.” (21)

Pascali, frutto della libertà espressiva degli anni 60, di intraprendenza in una fase esplosiva e positiva di nuove idee e boom economico, “coniuga in modo creativo forme primarie e mitiche della cultura e della natura mediterranee (la Grande Madre e Venere, il Mare, la Terra, i Campi, gli attrezzi e i riti agricoli) con le forme infantili del Gioco e dell’Avventura (animali della preistoria, dello zoo e del mare, giocattoli di guerra, il mondo di Tarzan e della giungla, bruchi e bachi, travestimenti, Pulcinella) e con le nuove tendenze artistiche provenienti dall’America pop art, arte povera, body art e arte concettuale che si affermarono negli anni 70”. (22)

Fu un periodo – ci ricorda Maurizio Calvesi – in cui gli artisti ereditano una nuova libertà nella scelta dei materiali, fino all’acqua e alla terra di Pino Pascali, recuperando così un contatto con il primitivo e con la stessa natura. Nascono forme d’arte “ambientale”, gli environment. Pascali vara le sue celebri versioni del “mare”, la prima composta di tele modellate, la seconda di vasche colme d’acqua colorata. Gli elementi naturali aprono a Pascali, attraverso le nuove poetiche dei materiali, un inedito contatto con la natura, il primordiale e il selvaggio, fra strumenti primitivi, rastrelli, scopettoni sotto forme di “bachi da setola”, liane e scale di corda o fibra ferrosa, vesti di rafia.” (23)

Durante un’intervista Pascali ha chiarito il suo rapporto con le opere e con la natura. Alla base c’è il gioco: “Qualunque sia la loro età, gli uomini possono restare “bambini” fino alla fine della loro vita… se un individuo riesce a vivere come vuole, per esempio come i ragazzini felici di andare a scuola, allora egli gioca…Sì, io amo il mare, la pesca subacquea, futilità del genere…amo gli scogli circondati dal mare: io sono nato in riva al mare, ci ho giocato da bambino… “24

Da un‘intervista a Claudio Abate che fotografò opere, installazioni e performance di Pascali, otteniamo la conferma di questa capacità ludica ed espressiva dell’artista pugliese, con riferimento in particolare a “Vedova blu”: “Questo è stato un po’ un gioco. Lui era uno molto spiritoso, molto allegro, molto vivace. Stavamo lì al Palazzo delle Esposizioni, in via Nazionale, e gli ho detto “Fai il ragno” e Pino l’ha fatto. Ho anche una sequenza di queste foto che non ho mai utilizzato in cui lui gira e corre intorno alla Vedova. Mica si poteva pensare che con il tempo sarebbe diventato importante. Era solo un gioco”. (25)

Del resto il rapporto con il gioco è un aspetto fondamentale della creazione artistica, che ha una connessione con aspetti profondi dell’esistenza di ciascun individuo. Ci dice al riguardo Winnicott in “Gioco e realtà” (26) che l’oggetto transizionale, il “pupazzo di pezza”, sostitutivo della relazione fusionale con la madre alla nascita (originato con le “sintonizzazioni” tramite lo “sguardo”), è uno spazio che nell’età adulta sarà occupato dall’arte e dalla religione.

Aspetti profondi, incidenti sull’autenticità della sua opera, che nel caso di Pascali attengono anche al rapporto tra “radici” familiari e “nostalgia creativa”. L’artista visse a Roma dove operò, pur avendo ben al centro della sua poetica le esperienze “emotive” sviluppate nel contatto con il territorio d’origine. Spiega al riguardo Carotenuto che il confronto con la memoria e con la pienezza che fu, passa per la nostalgia “che consente anche di recuperare momenti significativi dal punto di vista emozionale del proprio passato, consente di elaborare l’angoscia dell’abbandono e della separazione ed attiva appagamenti sostitutivi, gratificazioni sostitutive illusorie.” La nostalgia consente anche di attivare “l’emozione di fedeltà nei confronti delle personali ricordanze” e “permette di tenere vivo il pensiero del ritorno alle radici” che restituisce un senso di “quiete e sicurezza che solo l’intimità degli affetti primitivi può avergli dato.” (27)

NOTE

1. Cézanne in M. De Micheli, Le avanguardie artistiche del ‘900, Feltrinelli, 2005, p. 209
2. M. De Micheli su Cézanne in M. De Micheli, op. cit, p. 206
3. Cézanne in M. De Micheli, op. cit., p. 208
4. M. De Micheli su Cézanne in M. De Micheli, op. cit, p. 206
5. In Pier Nello Manoni per NO.F. 4. A cura di Giorgio Tani. http://www.ideavisiva.it/PDF/GiorgioArticoli_Manoni.pdf
6. V.B. Rubiu, Vita eroica di Pascali, Castelvecchi, 2017
7. N. Frascà, L’Arte all’Ombra di un’altra Luce, Viaggio nello Scarabocchio degli adulti attraverso la Psiconologia, Aseq, 1998
8. M. Farrelly-Hansen, Spirituality and Art Therapy: Living the Connection, Jessica Kingsley Publishers, 2001
9. Nato Frascà, op. cit., p. 40
10. Nato Frascà, op. cit, pp. 94,95
11. G.Argan e A. Bonito Oliva, L’arte moderna 1770-1970/ l’arte oltre il 2000, ed. Sansoni, settima edizione, 2014 p. 34
12. E.H. Gombrich, La storia dell’Arte, ed Phaidon, settima edizione italiana 2009, p 541
13. G.Argan e A. Bonito Oliva, op. cit. pp. 60 e ss; Gombrich, op. cit, pp. 538 e ss
14. Con il concetto di “motif “ si intende il soggetto del dipinto; mentre per “emotif” si fa riferimento alla dimensione emotiva che il soggetto suscita ed è quindi molto più delle impressioni del paesaggio. Infatti la natura nell’indagine di Cézanne esprime significati ulteriori. Vedi al riguardo N. Frascà, op cit.; cfr. Michael Doran in “Cézanne”, Donizelli, 1998, p. XI, già il concetto di ”motif” significa qualcosa in più di soggetto del dipinto.
15. Nato Frascà, op. cit.
16. C.G. Jung, Gli archetipi e l’inconscio collettivo, vol.9, tomo1° ed. Boringhieri, 1997
17. R. Kellogg, Analisi dell’arte infantile, Emme, 1979, cap. 16, secondo cui l’individuo che pratica arte, infatti, tramite essa riesce ad esprimere realtà interiori al riparo della copertura “dell”illusione estetica, così creando nuove gestalt sulla tela, sia oggettive che profonde.” Ciò si ottiene mediante la “ricettività passiva e la regressione autoregolata” che consentono all’artista di attingere all’estetica (intesa come capacità di assorbire la dinamica delle forme) del periodo infantile, che è caratterizzata dagli archetipi dell’inconscio collettivo. Le forme (che sono espressione di tali archetipi) e gli spazi, sono poi superati dalla dinamica dell’energia (come meglio si comprende dagli scarabocchi e appunto dall’arte infantile).
18. Tratto da: http://www.settemuse.it/arte/corrente_arte_povera.htm
19. Tratto da Inventare il Sè: il caso di NOF4 nell’ospedale psichiatrico di Volterra https://antropolemico.wordpress.com/2015/12/27/inventare-il-se-il-caso-di-nof4-nellospedale-psichiatrico-di-volterra/
20. Secondo il Dizionario di Psicologia Garzanti, insight ha proprio significato di illuminazione, risoluzione di un problema da tempo incubato, con un’idea improvvisa, vissuta come esperienza interiore, che permette di rivisualizzare il problema nella sua globalità.
21. Maurizio Calvesi “Pino Pascali a 38 anni dalla sua morte“ www.exibart.com/profilo/imgpost/doc/032/doc-7582-1032-518-36351.doc
22. Tratto da http://www.museopinopascali.it/
23. M. Calvesi, op.cit.
24. “Pino Pascali e Carla Lonzi. Discorsi”. Pubblicato per la rivista Marcatrè, 1967 www.eredibrancusi.net/pdf/pascali.pdf
25. Carole Blumenfeld “Chi pensava che sarebbe diventato famoso” Così Claudio Abate, su Pino Pascali” http://www.exibart.com/notizia.asp?IDNotizia=54338&IDCategoria=45
26. Benedetta Mulas in https://www.psicoterapiapsicologia.it/articoli-psicologia-psicoterapia/dal-bambino-all-adulto-il-gioco-e-la-creativita-secondo-winnicott . Ricorda Winnicott infatti , il bambino vive con la realtà esterna e in particolare con della madre” uno stato di fusione totale, durante cui sperimenta l’illusione dell’onnipotenza. La madre “sufficientemente buona” inizialmente ne sostiene l’illusione di poter magicamente soddisfare i suoi bisogni. Successivamente, la madre gradualmente induce la frustrazione controllata della perdita di questa illusione, conducendo il bambino attraverso qualcosa di altro da sé che compensi il passaggio all’oggettività. In tal senso afferma Winnicott che il bambino utilizza c.d. “oggetti transizionali”, ad indicare oggetti particolari, come ad esempio una copertina o un pezzo di stoffa o un pupazzo, che rappresentano “la transizione del bambino da uno stato di essere fuso con la madre ad uno stato di essere in rapporto con la madre come qualcosa di esterno e separato”.
27. A.Carotenuto, op. cit., che così argomenta nei capitolo 4-5-6-7-8 p. 167-168 . Afferma inoltre alle pag. 16-20 al riguardo Carotenuto che nello stato fusionale con la madre del resto “si imparano le emozioni mediante le risonanze emotive e le sintonizzazioni, che consentono al neonato di elaborare il linguaggio non verbale e che generano i modelli di attaccamento (di Bowlby), ossia le dinamiche che vengono apprese e poi adottate nel contesto in cui l’individuo svolge la sua vita sociale e sviluppa la capacità empatica, che include lo sviluppo del senso di appartenenza ad un gruppo e la legittimità dell’espressione degli stati interiori. Modelli di attaccamento, integrati dalle esperienze, che sembrerebbero riflettersi nell’attività artistica… Del resto il percorso di individuazione di un soggetto, “richiede proprio di passare per il dolore della separazione del proprio Sé dall’oggetto d’amore, cioè dalla diade primaria. Un’evoluzione che deve portare allo spostamento pulsionale dai genitori verso un soggetto esterno…un oggetto transizionale, maneggiato, se possibile, mediante il linguaggio dell’arte e la sua funzione liberatoria che consente lo sviluppo di un senso critico e quindi la maturazione dell’attenzione verso la verità intima e il superamento della dipendenza Circostanza che creerà le condizioni per una nostalgia creativa.